La Massoneria italiana conosce di nuovo dei giorni difficili. I massoni si vedono chiudere la porta del governo con l’accordo politico concluso tra i partiti arrivati primi alle ultime elezioni.
Una decisione che rimanda alle ore buie del secolo scorso in Italia.
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Le ultime elezioni italiane del 4 marzo 2018 hanno portato ad un accordo politico di governo tra i due partiti arrivati primi, la Lega (ex Lega del Nord) di Matteo Salvini (estrema destra, 37%) e il Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio (populista, 32,7%). Questo “contratto” di governo prevede esplicitamente: “ non possono far parte del governo coloro che appartengono alla massoneria o che si trovano in conflitto d’interessi con la materia oggetto della delega”
Il Grande Oriente d’Italia –prima obbedienza massonica del paese con circa 23.000 membri- ha reagito il 18 maggio 2018, qualificando a mezzo stampa questa misura incostituzionale e discriminatoria. Il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi, ha denunciato, nel corso di una intervista concessa a Radio Radicale il 19 maggio 2018, l’esclusione di tutta una categoria di cittadini dalla partecipazione al governo. Nel corso di questo colloquio, Bisi ha sottolineato cha la discriminazione riguardante i massoni aprirebbe ipso facto la via a discriminazioni più ampie e generalizzate, come si era verificato ai tempi del fascismo.
Questa misura, frutto dell’alleanza di un partito populista e di un partito di estrema destra, ricorda le ore buie della storia europea e rinvia ad altre misure simili da parte di Vichy e dei nazisti. Essa è anche la manifestazione di un rapporto di diffidenza verso la massoneria italiana più antico e profondamente radicato nella opinione pubblica, la stampa e il mondo politico.
E’ il caso di ricordare le origini storiche di questa diffidenza al fine di meglio comprendere la sua natura, la sua persistenza nella opinione pubblica, nello stesso tempo la natura dei legami –soprattutto nel sud Italia- tra massoneria e crimine organizzato.
La loggia clandestina Propaganda 2 (P2)
Tra il 1974 e il 1976, il Grande Oriente d’Italia ha sospeso, per mancanza di attività, una delle sue vecchie logge, la Propaganda 2. Il maestro venerabile dell’epoca, Licio Gelli, ha tuttavia continuato ad utilizzare la loggia per stabilire e mantenere –fino al suo scioglimento definitivo nel 1982 per la legge Anselmi- una organizzazione segreta e politica sospettata di essere responsabile di atti criminali, come il fallimento del banco Ambrosiano, l’assassinio del giornalista Pecorelli e del banchiere Calvi, e terroristici, con la strage di Bologna (l’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980) che fece 85 morti e 200 feriti. Gelli non fu tuttavia condannato che per il fallimento del banco Ambrosiano. I capi di accusa di organizzazione criminale e di cospirazione politica furono definitivamente rigettati dalla Corte di cassazione nel 1996.
L’ampia attività di questa loggia clandestina fu scoperta nel corso dell’inchiesta condotta su Michele Sindona, banchiere di Cosa nostra, la mafia siciliana, e nel corso della perquisizione nella villa di Licio Gelli venne trovata una lista contenente 962 nomi di membri della loggia, che costituiva ciò che si può considerare un vero Stato nello Stato. In un colloquio con Klaus Davi, pubblicato dal quotidiano La Repubblica in data 4 dicembre 2008, Licio Gelli dichiara: “ Con la P2 avevamo l’Italia nelle mani”. In effetti, la lista scoperta contiene i nomi di 44 parlamentari, 2 ministri, 51 generali, come quelli di dirigenti dei diversi servizi segreti e anche di Roberto Calvi, Silvio Berlusconi e di dirigenti di grandi quotidiani italiani.
L’obiettivo politico di Gelli e della loggia clandestina P2 era formulato in un altro documento trovato in una valigia di Maria Grazia Gelli, la figlia di Licio Gelli, all’aeroporto di Roma nel 1982 e intitolato Piano di rinascita democratica. Si trattava, secondo questo documento, di infiltrarsi nell’insieme delle istituzioni democratiche italiane e di controllarle al fine di istituire un nuovo ordine politico autoritario, anticomunista e antisindacalista.
Le conseguenze della scoperta della loggia P2, dei suoi membri e delle sue azioni sono state pesanti sia per la classe politica italiana sia per la massoneria e si iscrivono nel contesto particolare degli anni di piombo nel quale l’Italia è stata immersa fino alla fine degli anni ’80 e della operazione Mani pulite degli anni ’90.
Così nel 1982 viene approvata la legge “Anselmi” che interdice qualsiasi appartenenza a una associazione segreta in virtù dell’art 18 della costituzione italiana e decreta lo scioglimento della loggia P2.
La pubblicazione della lista dei membri della P2 provoca il licenziamento dei capi dei servizi d’informazione, l’esonero di molti direttori di grandi giornali, le dimissioni di grandi banchieri e industriali e inchieste di polizia nei confronti di numerosi funzionari di Stato. Lo scandalo provoca forti tensioni in seno al Grande Oriente d’Italia che culminano con la fuoriuscita di numerose logge che formeranno nel 1993 una nuova obbedienza, la Gran Loggia Regolare d’Italia, che viene immediatamente riconosciuta dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra, a danno del Grande Oriente d’Italia che perde il suo riconoscimento.
Il caso della P2 è il caso più eclatante, che mette in piazza ad un tempo la deriva di una loggia clandestina e la corruzione del sistema politico caratterizzato da rapporti segreti tra potere, uomini di affari e crimine organizzato e che tutt’oggi influenza l’opinione pubblica. Occorre tuttavia vedere la loggia P2 nel contesto particolare dell’Italia degli anni ’80. A posteriori la sua influenza può apparire minore di quella che è stata realmente all’epoca. In effetti, come indicato prima, i capi di accusa di cospirazione politica e di associazione criminale sono state rigettate.
Al di là del caso unico della loggia P2,l’opinione pubblica e il potere politico si soffermano anche sui legami tra crimine organizzato, in particolare Cosa nostra e ‘Ndrangheta e le logge del Sud Italia. Questi legami tuttavia sono più complessi.
La “massomafia” degli anni 1979-1980
Il neologismo “massomafia” fu creato dal deputato calabrese Enzo Fantò (PCI) per descrivere il sistema di rapporti che si era stabilito dopo gli anni ’70 tra la mafia calabrese, la ‘Ndrangheta, oggi l’organizzazione criminale più potente d’Italia –addirittura d’Europa- e le logge locali, scoperto grazie alla vasta inchiesta giudiziaria della direzione antimafia di Reggio Calabria, l’operazione Olimpia.
Anche se dei legami esistevano già tra mafia siciliana e logge massoniche, non erano che episodiche ed esterne, mentre il vero avvicinamento dei clan e delle logge si produrrà soltanto negli anni ’70, sotto l’impulso della ‘Ndrangheta, come scrive Jacques de Saint Victor, nel numero 78 della Chaine d’Union, pubblicata nel 2016.
Si trattava di meglio accedere alle sfere legittime della società calabrese passando per le logge massoniche tradizionalmente frequentate da politici, imprenditori, magistrati, funzionari di polizia e professionisti. Il metodo scelto per conciliare due giuramenti esclusivi, verso la mafia e la massoneria, era di creare una struttura intermedia, la “Santa”, solo i membri della quale, i “santisti”, avevano l’autorizzazione di aderire alle logge (de Saint Victor, 2016). Al di là della semplice infiltrazione, numerose logge segrete, seguendo il modello della loggia P2, nascono negli anni 1970-1980. L’operazione Olimpia, come l’inchiesta sulla P2, sottolinea che negli anni 1970-1980 le autorità del Grande Oriente d’Italia hanno lasciato fare (de Saint Victor, 2016).
La “massomafia” diviene una zona grigia di collaborazione, ad implicazione totale o complicità relativa, che permette la nascita di una “matrice di alleanza stretta e proficua tra gruppi mafiosi e centri professionali” (de Saint Victor, 2016) Lo scrittore e anziano deputato Enzo Ciconte sintetizza i tre obiettivi principali nella immissione in logge massoniche: “la ricerca di contatti politici, d’investimento economico e di coperture giudiziarie” (de Saint Victor, 2016). Il fenomeno dei “santisti” ha conosciuto il suo apogeo negli anni 1970-1980 ed è difficile valutare lo stato attuale di questi legami tra mafia e massoneria in Italia in generale e al Sud in particolare. La commissione parlamentare antimafia, come l’opinione pubblica, resta tuttavia convinta della persistenza di questi legami.
Una cattiva immagine si inchioda alla massoneria italiana
Tre elementi forti contribuiscono a mantenere una cattiva immagine della massoneria nella opinione pubblica in Italia: il caso singolare ma eclatante della loggia P2; la zona grigia intermedi atra mafia e massoneria loca le in Calabria; i rapporti difficili tra la Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Rosy Bindi, e le principali obbedienze massoniche, in particolare il Grande Oriente d’Italia. Rosy Bindi che accusa le obbedienze di mancare di trasparenza e di volontà di collaborare, mentre il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia rimprovera alla Commissione di accanirsi in maniera ingiustificata contro la sua obbedienza. In effetti la Commissione parlamentare lavora anche sui rapporti tra mafia e massoneria. Chiede correttamente alle obbedienze massoniche di fornire l’elenco dei loro membri, che queste ultime –ad eccezione della Gran Loggia Regolare d’Italia- rifiutano in nome del rispetto della legge sulla riservatezza. La Commissione parlamentare ha dunque sequestrato nel corso delle perquisizioni nelle sedi delle obbedienze principali le liste dei loro membri, al fine di verificare se vi figurano appartenenti al crimine organizzato.
L’ultimo rapporto della Commissione parlamentare antimafia del 2017, che prende in esame i legami tra mafia siciliana e calabrese e la massoneria locale, deplora ugualmente la scarsa collaborazione del Grande Oriente d’Italia. Il rapporto parlamentare distingue chiaramente crimine organizzato e massoneria, ma rileva tuttavia una situazione di “compiacenza” ovvero di “tolleranza” dimostrata con la negazione di esistenza di rapporti mafia-massoneria da parte di logge del Sud Italia a proposito di infiltrazione della mafia nelle loro logge (Rapporto della Commissione parlamentare 2017, p.76).
La diffidenza verso la massoneria compare anche a livello regionale. L’Italia in questo contesto è stata condannata in due riprese, nel 2001 e nel 2007, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel primo caso la Regione Marche aveva pubblicato, nella legge regionale n.34 del 5 agosto 1996, le regole per la nomina e designazione di cariche pubbliche di competenza della Regione. Esse comprendevano il seguente punto:” Dichiarazione di non appartenenza a una loggia massonica”. La Corte aveva constatato nel 2001 che vi era violazione dell’art. 11 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (libertà di riunione e di associazione).
Nel secondo caso simile, la legge regionale n.1 del 15 febbraio 2000 della regione autonoma del Friuli Venezia Giulia che fissava la procedura per le nomine a incarichi pubblici di competenza della regione conteneva nell’art. 55 il seguente punto: ”I candidati devono dichiarare alla presidenza dell’esecutivo regionale e alla commissione per le nomine del Consiglio regionale la loro eventuale appartenenza ad associazioni massoniche o in tutti i casi a carattere segreto. L’assenza di dichiarazione costituisce una condizione impeditiva alla nomina. La Corte aveva rilevato nel 2007 che c’era stata violazione dell’art. 14 (interdizione e discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo combinata con la violazione dell’art. 11 della stessa Convenzione.
La Lega e il Movimento 5 Stelle profittano della cattiva immagine che conserva la massoneria presso l’opinione pubblica italiana per stigmatizzarla ancora di più. Si ha l’impressione che la storia si ripeta una volta di più, poiché i demoni dell’Italia mussoliniana traspaiono in filigrana nell’accordo di governo. Arrivando al potere Mussolini non aveva forse cominciato con l’interdire la massoneria prima di impadronirsi della stampa e di finire per imbrigliare le libertà pubbliche?
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