L’Infinito. Esiste? O tutto è finito? E allora cosa c’è oltre al finito che, diciamo così “lo contiene” in modo da poter affermare che è finito? Dall’esterno del finito, non dal suo interno.
Cercare l’Infinito è la più grande aspirazione dell’Uomo. Cercare almeno di immaginarlo visto che – l’Uomo ne è convinto – coglierlo nella sua pienezza gli è impossibile.
Vorrebbe dire essere Dio.
Ma dove cercare l’infinito? La risposta più ovvia è cercarlo nel cielo, fra e oltre le stelle, andando avanti nell’immensità del cosmo.
Nell’infinito, appunto.
Ricerche che per l’uomo è impossibile completare. Ma anche, e soprattutto, ricerca inutile perché condotta nella dimensione sbagliataPerché nello spazio-tempo dell’Universo l’infinito non può esserci.
Perché no?
Prendiamo un oggetto definito, una scatola per esempio, o qualsiasi altra cosa.
Se noi mettiamo una scatola accanto a un’altra scatola, e poi un’altra scatola ancora, e ancora un’infinità di scatole, impiegando tutto il tempo che potremmo avere a disposizione, noi e chi verrà dopo di noi, non raggiungeremmo mai l’infinito, il limite dell’infinito. Ci sarà sempre qualche altra scatola da aggiungere.
Perché sommando un oggetto finito a un altro oggetto finito, per quante volte vogliamo, non potremo che ottenere un oggetto finito, misurabile cioè, e collocabile nel tempo, per quanto tempo vogliamo.
Dunque, ragionando nella dimensione spazio-temporale nella quale esistiamo, la domanda da porsi è: ma l’infinito esiste? Oppure no.
Ragionando all’interno della limitazione dei concetti matematici, possiamo fare l’ipotesi di togliere qualcosa, basta un 1, dall’infinito? E’ possibile? Certamente no, altrimenti non sarebbe più infinito, ma sarebbe infinito meno qualcosa di misurabile; rientrerebbe quindi nella dimensione dello spazio e del tempo. Per lo stesso ragionamento non possiamo aggiungere nulla all’infinito, altrimenti ricadremmo nello stesso ragionamento.
Seguendo questo percorso dovremmo dunque dedurre che, nella dimensione di spazio e tempo nella quale ci muoviamo, l’infinito non esiste e per quanto andremo avanti sarà sempre in una dimensione definibile, e dunque definita.
Questo almeno nella dimensione comunemente considerata dall’uomo, quella cioè del nostro spazio-tempo.
Ma esiste invece in un’altra dimensione di misura?
Anche la poesia si è posta il problema. Giungendo alla medesima risposta.
Ripensati in questa chiave di lettura appaiono infatti perfettamente intelligibili, anche nel loro significato al di là dell’evidenza delle parole, i significati dei primi versi di una delle più belle poesie che si conoscano, un sonetto che non a caso ha per titolo proprio “L’Infinito” e fu scritto a quel grande che fu Giacomo Leopardi. Il quale, tra l’altro, non mi risulta abbia mai varcato la soglia di un Tempio massonico.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
E questa siepe che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Siamo nella dimensione dello spazio, della materia, e i suoi limiti non permettono allo sguardo dell’uomo di andare oltre.
Però, subito dopo, il poeta dà una chiave di lettura diversa, una chiave di speranza. E aggiunge:
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi al di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura.
Cosa può volerci dire? Forse che, abbandonando la foga del mondo, fermandosi e immergendosi nella meditazione, cioè entrando e penetrando dentro noi stessi, si può trovare la strada… dell’Infinito. La strada per andare oltre la dimensione del nostro spazio-tempo e si può entrare in ciò che è al di là del mondo (misurabile) in cui si muove l’uomo, in dei “sovrumani silenzi” e in una “profondissima quiete” come dice Leopardi.
E si può, allora, entrare in una dimensione nella quale “per poco il cor non si spaura”.
Siamo oltre la siepe che definisce il finito. La dimensione non è più materiale e il poeta lo lascia intendere prendendone a definizione il suono e non le definizioni fisiche. Infatti la poesia così prosegue:
E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio e questa voce
vo comparando; e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni e la presente
e viva, e il suo di lei.
Si riesce così, con la mente, con la riflessione e la capacità di ricerca e di astrazione interiore, a cogliere ciò che per sua stessa definizione non ha, né può avere spazio o tempo: l’eterno (mi sovvien l’eterno).
Nel quale le passate, morte stagioni si fondono con il presente in un senza tempo che può essere avvertito e nel quale tutto è presente.
Siamo nell’Infinito. All’Infinito. E, come dice il poeta:
Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare
Insomma, se a cercare l’Infinito nelle dimensioni in cui si muove l’uomo nel suo rapporto spazio-temporale, e dunque finito, non dà risultato, ciò non vuol dire che la ricerca sia impossibile.
Semplicemente la ricerca va condotta in una dimensione diversa. Una dimensione che però l’uomo può percorrere non facendo uso dei suoi cinque sensi, ma facendo ricorso ad altro, che pure possiede.
Non è – massonicamente parlando – l’Apprendista con il suo 3 (spazialmente e temporalmente definibile in padre, madre e figlio; nel presente e nel futuro), né il Compagno con il suo 5 che indica i sensi e quindi rimane in una dimensione spazio-temporale di misurazione, a poter cogliere l’Infinito.
Coglierlo sarà invece possibile al Maestro che ha raggiunto un grado di maturazione interiore che gli permette di andare al di là della definizione spazio-temporale che è propria del nostro presente. Al di là della definizione delle cose, del limite della presenza dell’uomo in un dato spazio (misurabile e quindi finito) e in un dato tempo (misurabile anch’esso e quindi finito a sua volta).
E’ dunque con la sua capacità interiore, con la mente, la fantasia, lo spirito se vogliamo chiamarlo così, che l’uomo può raggiungere l’Infinito.
Perché?
Perché la mente, la fantasia, la capacità di immaginare e di riflettere non sono misurabili. Esistono, ci sono, ma non si possono racchiudere e definire in misurazioni che non siano dei generici “tanto” o “poco” del tutto indefinibili.
E dunque possono cogliere l’Infinito proprio perché vanno oltre la dimensione dello spazio e del tempo.
Eccoli i versi del poeta che vanno dal quarto al settimo.
E in questa dimensione il primo riflesso è di smarrimento e di paura.
Fino a che non ci si perde nell’immensità, nell’Infinito, e lo facciamo nostro al punto che “naufragar mi è dolce il questo mare”.
E’ riportabile questa riflessione su dimensioni massoniche?
Il Tempio è il luogo ove il Massone lavora, ascolta, riflette e medita.
Rappresenta il Cosmo, il tutto spazio-temporale. E ci sono un’infinità di simboli a richiamarlo continuamente alla attenzione. Simboli, come il filo a piombo per esempio, che invitano alla elevazione (cor)retta, o forse – se letto dall’alto verso il basso – alla retta penetrazione.
E il compito del Massone è gnostico. E’ ricerca interiore, ricerca nella quale i simboli e tutti gli strumenti presenti nel Tempio servono solo per essere utilizzati a questo scopo. Ad indicare cioè come fare per raggiungere quella ricerca interiore che significa macerazione, elevazione, comprensione e che porta a continue morti e rinascite.
Eccola la via dell’Infinito.
E’ la stessa che Leopardi intuì nell’estasi della poesia.
La riflessione interiore, l’uso di facoltà che aprono “interminati spazi”
e che porta a “sovrumani silenzi”.
E’ il pensiero, lo spirito se vogliano chiamarlo così, la strada che porta all’Infinito. O vogliamo chiamarlo Dio? O ciò che è?
Il pensiero che non può essere misurato e quindi ha di per se’ una dimensione infinita, non misurabile, capace di far intuire perfino “Ciò che è”.
Ma – mi chiedo – è aperta a tutti questa strada?
Credo di no, almeno nella nostra dimensione e nel nostro esistere. E’ una strada che si apre nell’estasi del poeta, del filoso, del Santo e dell’asceta, forse.
Si apre certo, sempre, solo dinanzi a chi è in qualche modo Iniziato, intendendo per Iniziato chi sia capace di percorrere le strade dello spirito. Della gnosi.
Questa è solo una riflessione. Giusta? Sbagliata? Non so.
E’ comunque una riflessione che apre sentieri di speranza. Specie per chi è Iniziato e percorre, da Iniziato, la strada verso la Luce.
L’Infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
e questa siepe che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni e la presente
e viva, e il suon di lei: Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.